La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel processo di secondo grado che vede imputati Michele Fiorillo, 39 anni, alias “Zarrillo” (difeso dall’avvocato Diego Brancia) e Rosario Battaglia, 41 anni (assistito dagli avvocati Salvatore Staiano e Walter Franzè), entrambi di Piscopio, accusati dell’omicidio di Antonio De Pietro, freddato a colpi di pistola nei pressi del cimitero di Piscopio l’11 aprile 2005. La Procura Generale ha appellato la sentenza di assoluzione per i due imputati – decisa in primo grado il 20 aprile 2023 dalla Corte d’Assise di Catanzaro (ove era stata avanzata la richiesta di pena all’ergastolo per Fiorillo e Battaglia) - e nel proporre il ricorso contro le assoluzioni aveva chiesto alla Corte d’Assise d’Appello di sentire nuovamente in aula il collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Andrea Mantella, e di acquisire le dichiarazioni del nuovo collaboratore Francesco Fortuna di Sant’Onofrio. I giudici hanno però rigettato sul punto le richieste della pubblica accusa.

La difesa degli imputati aveva, dal canto suo, chiesto che gli atti venissero inviati alla Corte Costituzionale per la recente riforma Nordio che impedisce al PM di proporre appello solo contro alcune sentenze di assoluzione, ma non contro quelle pronunciate nei processi di criminalità organizzata, ravvisandosi una disparità di trattamento tra imputati. La Corte d’Assise d’Appello ha però rigettato la richiesta dei difensori non ravvisando alcuna violazione del principio di uguaglianza.

L’accusa

Ad eseguire materialmente l’omicidio De Pietro, secondo l’accusa, sarebbe stato Rosario Fiorillo, 34 anni, alias “Pulcino” – cugino di Battaglia e “Zarrillo” – la cui posizione è stata però da tempo stralciata in quanto quindicenne all’epoca dei fatti e, quindi, è competente per lui il Tribunale per i minorenni. Antonio De Pietro sarebbe stato ritenuto dagli imputati – secondo l’impianto accusatorio – “colpevole” di aver intrattenuto una relazione extraconiugale con Maria Concetta Immacolata Fortuna, madre di Rosario Fiorillo, a causa della quale la donna stava dilapidando il patrimonio dell’intera famiglia. Tale rapporto more uxorio sarebbe stato fortemente osteggiato da Rosario Fiorillo, ritenuto l’esecutore materiale del delitto ma aiutato per compiere il delitto dai cugini Rosario Battaglia e Michele Fiorillo. Le primissime attività investigative, espletate all’epoca dell’uccisione di De Pietro, avevano condotto all’esecuzione di un fermo di indiziato di delitto nei confronti dei presunti responsabili, provvedimento che, tuttavia, non era stato convalidato per carenza di gravità indiziaria, con conseguenti scarcerazioni.

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Raffale Moscato e Andrea Mantella avevano poi permesso di cristallizzare ulteriori elementi posti alla base del nuovo provvedimento restrittivo eseguito nel 2022.
A Rosario Battaglia e Michele Fiorillo vengono contestati, inoltre, i reati di detenzione e porto di armi in luogo pubblico, con le aggravanti del metodo mafioso e la premeditazione del delitto. Oltre a soffermarsi sulla relazione extraconiugale fra Antonio De Pietro e Maria Concetta Fortuna (madre di Rosario Fiorillo) quale movente del fatto omicidiario, il collaboratore Bartolomeo Arena aveva poi precisato che le sue fonti di conoscenza sull’omicidio erano state: Salvatore Morelli, appartenente allo stesso gruppo di Bartolomeo Arena ed imputato per l’operazione “Rinascita-Scott”, e Antonio Pardea, anche lui coinvolto da ultimo in “Rinascita-Scott” e definito dal collaboratore come “fraterno amico di Morelli dal quale ha appreso i particolari dell’omicidio De Pietro”. Morelli, a sua volta, avrebbe saputo dell’omicidio De Pietro in quanto – secondo Bartolomeo Arena – sarebbe stato molto amico dei Piscopisani.

Michele Fiorillo ha scontato 8 anni in via definitiva per associazione mafiosa dopo la condanna rimediata al culmine dell’operazione “Crimine” della Dda di Reggio Calabria, scattata nel 2010, quale vertice del clan dei Piscopisani. Il 9 luglio scorso ha poi riportato una condanna definitiva a 12 anni di reclusione nell’operazione “Rimpiazzo” contro il clan dei Piscopisani, mentre è stato assolto in appello dal maxiprocesso Rinascita Scott (5 anni in primo grado). Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo sono stati invece condannati a 30 anni di reclusione a testa per l’omicidio (settembre 2011) di Fortunato Patania, ritenuto a capo dell’omonimo clan di Stefanaconi, mentre nel processo Rimpiazzo Rosario Battaglia è stato condannato in via definitiva a 28 anni e 3 mesi di reclusione, Rosario Fiorillo in via definita a 19 anni.